Sunday, October 4, 2009

Baarìa in corsa per gli Oscar 2010



Uscito nelle sale lo scorso weekend e già in testa al Box-office con circa 2 milioni di euro e la più alta media per sala (4.128 euro), il film Baarìa di Giuseppe Tornatore è stato scelto dall’apposita commissione istituita dall’ Anica per rappresentare l’Italia agli Oscar 2010.

In particolare la suddetta commissione, composta da produttori, distributori, critici, e dai registi Lina Wertmuller e Paolo Sorrentino, ha espresso voto pressochè unanime, undici favorevoli e due contrari, preferendolo a Fortapasc di Marco Risi, Il grande sogno di Michele Placido, Si può fare di Giulio Manfredonia e Vincere di Marco Bellocchio; riguardo gli altri paesi la Germania sarà rappresentata da Il nastro bianco di Michael Haneke, Palma d’oro a Cannes 2009, e la Francia da Un profeta, di Jacques Audiard, Grand Prix nella stessa manifestazione.

Ora occorrerà attendere la pronuncia dell’ Academy, il 2 febbraio 2010, sperando che nel frattempo finiscano le polemiche che accompagnano il film sin dal suo debutto alla 66ma Mostra del cinema di Venezia, anche se credo continueranno all’ insegna del solito refrain “ se concorrerà all’Oscar è perchè rappresenta l’Italia come gli Americani credono che sia e come vogliono sia rappresentata”, che ha già accompagnato la scalata verso l’assegnazione della mitica statuetta Nuovo Cinema Paradiso, sempre di Tornatore, nell’ormai lontano 1989.

In realtà Baarìa va visto oggettivamente per quello che realmente è, un buon film, con qualche peccato veniale, che ho già evidenziato nella mia recensione della scorsa settimana, commesso in buona fede ed essenzialmente per omaggiare quell’afflato poetico, ammantato di epicità, capace di incantare e stupire, di narrare tramite immagini, che il cinema, in particolare il nostro cinema, sembrava ormai aver dimenticato; in tempo di tagli indiscriminati al mondo dello spettacolo, non sempre giustificati e di crisi del “prodotto cinema” ben vengano opere di così ampio respiro che permettono di uscire dal solito schema “due camere e cucina”, in cui, tranne qualche lodevole eccezione, ci eravamo un po’ incartati, travalicando gli italici confini e dando atto ad una sprovincializzazione che non può farci che bene.

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