Saturday, September 26, 2009

“Baarìa”

2009: Baarìa di Giuseppe Tornatore

Critica quanto mai divisa: “Di gran lunga il film più bello di Tornatore dai tempi del “Camorrista” e di “Nuovo cinema Paradiso”” (L’Unità), “Il film è bello, godibile e generoso, anche troppo” (Il Riformista), “Traboccante di nostalgia fasulla, sentimentalismo a buon mercato ed orchestrazione enfatica…” (Variety), “Il film riflette più di ogni altro le caratteristiche di Tornatore: la sua gran bravura alla macchina da presa, la sua mancanza d’umorismo e di ironia, la sua capacità nell’affrontare il pathos o la singolarità dei dettagli e l’incapacità di forte visione generale” (La Stampa), “ …il regista, con la complicità di Morricone, rischia la retorica e sfida la magniloquenza per approdare invece alla trascinante libertà della poesia” (Il Mattino), “…un film cui mancano davvero cuore e calore” (Comingsoon).



Tendo ad essere d’accordo con i critici a cui il film non è piaciuto. Peccato, Baarìa (che ha inaugurato l’ultima Mostra Veneziana ed è entrato nella cinquina delle preselezioni italiane per l’Oscar) è sicuramente un’opera altamente spettacolare e meritoriamente diversa da quanto il cinema italiano correntemente produce ma a mio parere nel complesso non riuscita.

La prima parte è eccessivamente ridondante e magniloquente: musica assordante e continua, movimenti di massa frenetici e ripetuti all’infinito… Un’orgia di colori suoni movimenti che assalgono lo spettatore, senza una pausa, un momento riflessivo, uno stacco che permetta di assimilare e apprezzare quanto si vede e si sente (Federico Gironi giustamente parla di “stile barocco e sovraccarico”). Tutto gridato, tutto al di sopra delle righe, tutto esagerato (l’impressione è che Giuseppe Tornatore abbia avuto a disposizione tanti soldi e per più di un’ora voglia a tutti i costi evidenziarlo).  Nella seconda parte, Baarìa consiste in un susseguirsi continuo di scenette e sequenze intercambiabili, condite da molte gag che lasciano il tempo che trovano, tolgono drammaticità alla narrazione, distraggono lo spettatore. Il risultato è un film che non emoziona, non coinvolge e rasenta a volte la noia: spazia dal melodramma alla commedia al realismo magico senza omogeneità ed equilibrio.

Storia di una famiglia, storia di un luogo, storia di un Paese. Progetto interessante e ambizioso che risulta però in sostanza fallito. Prima di tutto si dà troppo spazio al tipique e allo stereotipo. Il ritratto della famiglia appare poi lacunoso: i personaggi non sono psicologicamente approfonditi, non hanno personalità, e i loro comportamenti non sono motivati. L’affresco storico è inevitabilmente superficiale dovendo spaziare dal Fascismo alla seconda guerra mondiale, dalla venuta degli Americani al Referendum, dalla ricostruzione postbellica alle stragi di mafia, dalle lotte agrarie alla speculazione edilizia ai decenni del governo democristiano… Accettabile se fa da sfondo a “una storia”, a un intreccio narrativo che in Baarìa però non è presente: i singoli grandi avvenimenti illustrati sono importanti per se stessi, vivono di vita propria. Si susseguono uno dopo l’altro apparendo un condensato di quanto accaduto in Italia per quasi tutto il Novecento. Utile come ripasso della nostra storia… ma non costituisce un film (Luca Liguori sottolinea come al film “quella che sembra mancare più di tutto è una sorta di autocontrollo, una coerenza di fondo, la volontà e l’umiltà di voler raccontare una storia e non la Storia”).

Infastidisce la presentazione del Meridione, un Meridione che sembra composto esclusivamente da selvaggi, violenti e superstiziosi… (lo sguardo con cui è analizzato non mi sembra affettuoso o nostalgico: dove si dovrebbe vedere il tanto reclamizzato amore del regista per la sua terra?). Da retorico cliché il ritratto del Fascismo (Tornatore cade nello stereotipo del gerarca macchietta e del popolo buono tutto antifascista).

Da lodare le qualità tecniche (dalla fotografia ai costumi al montaggio alle scenografie). Bravi i due protagonisti, Francesco Scianna (finora noto essenzialmente come attore teatrale e televisivo) e Margareth Madè (una presenza magnetica, una di quelle personalità che “buca” lo schermo e la cui carriera si presenta giustamente luminosa). Brave, come al solito, Angela Molina e Lina Sastri.

Il film è impreziosito dai camei di tanti volti noti: da Michele Placido a Leo Gullotta, da Luigi Lo Cascio a Monica Bellucci, da Raoul Bova a Laura Chiatti, da Giorgio Faletti a Donatella Finocchiaro, da Beppe Fiorello a Gabriele Lava, da Nino Frassica a Enrico Lo Verso a Vincenzo Salemme…

Ha scritto Movieplayer: “Perché vederlo? Per tornare a sognare in grande con un cinema italiano finalmente ambizioso, che vede in Giuseppe Tornatore l’unico possibile regista capace di trasformare un budget importante in un’opera che racconta un’epoca sfruttando al meglio le potenzialità del mezzo cinematografico”. Si può anche concordare ma il tutto dovrebbe essere al servizio di una storia da raccontare che qui, come dicevo, non c’è.

p.s.

1) Il film è stato girato in Tunisia dove nei capannoni di una fabbrica abbandonata è stata interamente ricostruita Bagherìa.

2) Nel film assistiamo a una scena nella quale un bovino  viene colpito alla testa con un punteruolo (l’animale cade per terra, ancora cosciente, mentre delle persone gli tagliano la gola). La Lav ha protestato: “E’ raccapricciante, violenta e realizzata con un animale che e’ stato ucciso per girare la scena. Perché Tornatore, volendo rappresentare un atto efferato dell’epoca rappresentata nel film, non ha scelto di utilizzare degli effetti speciali? Perché realizzare in Tunisia una scena che in Italia sarebbe considerata maltrattamento secondo il Codice penale poiché effettuata senza stordimento e al di fuori di un macello autorizzato, fuori dal quale un bovino non può essere abbattuto?”.

3) Molti critici hanno avanzato il sospetto che Tornatore nel girare il film abbia pensato soprattutto al mercato estero. Se è così l’operazione non sembra riuscita. Il film non solo è stato stroncato dalla Bibbia del cinema americano Variety ma anche dal New York Times che dopo aver fatto un confronto con Amarcord (“Fellini fece un ritratto di Rimini, la sua città natale, bizzarro e affettuoso, senza cadere nel facile folclore e sentimentalismo, come invece ha fatto Tornatore continuamente”) scrive addirittura “gli spettatori più caritatevoli possono concludere che questo film da due ore e mezza è davvero poco più che scaldare l’aria in una sala cinematografica”). Die Welt parla di un film dove “alla fine non ci si capisce più molto… Tornatore sovraccarica la storia principale con altre innumerevoli piccole storie; è come sfogliare le belle immagini di un volume illustrato”.  Sul sito spagnolo OtrosCines si legge: “…filme rimbombante y ultra-sentimental. A la mínima ocasión, Tornatore intenta anestesiar los sentidos del espectador haciendo tronar la banda sonora del gran Ennio Morricone”. Particolarmente cattivo (e un po’ razzista) Süddeutsche Zeitung: “Rifare la stessa cosa non è in linea con le ambizioni di un grande festival… Diventa spiacevole per lo spettatore rivedere quasi le stesse immagini di Nuovo Cinema Paradiso… si può dire ciò che si vuole, ma una cosa del genere può venire in mente solo a un italiano”.

scheda



No comments:

Post a Comment